Ma due settimane sono abbastanza per trasformare una città romantica in un simbolo di paura, in un contemporaneo hashtag di solidarietà.
Il timore di questi atti si sta propagando tramite l'informazione, raggiungendo i nostri sensi con un tocco che potrebbe indirizzare le nostre scelte verso strade differenti; perchè è un terrore che non cambia la nostra quotidianità, ma ne intacca la spensieratezza.
Con quale tranquillità partiresti ora? Diciamo per Parigi? O per Tunisi?
La paura però sa sfondare i confini, li supera arrivando laddove, fino a quel momento, non c'era che vita; non ha bisogno di evolversi in fobia, perchè l'angoscia che trascina con sè basta ad insinuarsi attraverso l'immedesimazione.
L'ho fatto. Ho guardato le persone nel campo dello Stade de France e ho provato ad immaginarmici, proprio io che allo stadio ci lavoro; poi ho spostato l'attenzione su ciò che vorrei si facesse se protagonista dello strazio fosse la mia casa. E mentre a pochi giorni da partite importanti, dall'unica tappa italiana di Madonna o dalla visita di Renzi, Torino galleggia nell'allerta, metto in atto quello che sarebbe più giusto fare: curare la paura con la bellezza.
Perchè nonostante per me Parigi sia stata davvero una piccola delusione, ha rappresentato anche una raccolta di cose straordinarie.
Ho già scritto dei
tetti.
Non dei piccoli ricordi che mi porto dietro, incorniciati in un'immagine.
Ai giardini Tuileries abbiamo incrociato una famiglia, svedese; forse danese o magari finlandese.
Una famiglia giovane comunque, il classico stereotipo scandinavo dell'immaginario italiano.
Hanno passeggiato come noi dal Louvre fino all'Arco di Trionfo: il (bel) papà spingeva il passeggino, la mamma si fermava a scattare qualche foto, mentre le due testoline illuminate di biondo camminavano distratte lungo gli Champs-Elysées.
Mi piace ipotizzare le vite di chi incrocio, e nell'involontaria passeggiata insieme ho immaginato quattro intere vite.
A Montmartre abbiamo festeggiato il compleanno del Ragazzo Economista; nonostante stessi male, quello è il giorno a cui collego i momenti migliori.
Ricordo il vento che fluiva con forza tra le colonne del Sacro Cuore, la mia paura di sporgermi per le foto e la voglia di fare indigestione di tetti; e poi Lui, che il coraggio di affacciarsi lo aveva, si faceva fare foto stupide da mandare gli amici, riuscendo a farmi ridere, rimediando un po' al mio dolore.
La sera siamo ritornati per la cena in un
dehor avvolto da altro vento; mi sentivo meglio, mi sentivo bella in un semplicissimo outfit molto parigino. Poi la pioggia, la corsa alla
Tour Eiffel per vederla
illuminata, l'attesa, le luci davanti agli occhi, noi due abbracciati sotto al suo k-way e al mio foulard nero; il suo stupore per un piccolo regalo inaspettato, un'altra corsa stretti nella ricerca del
Palais de Tokio per le
foto in una delle
vecchie photomaton sparse per Parigi, che puzzava di uova marce ma che ci ha fatto ridere come nessun altro luogo.
C'è stato anche un piccolo ritorno a Londra in Rue Cremieux (XII arrondissement): case colorate strette a braccetto in un classicissimo quartiere Parigino. Da farci un salto se sei in Gare de Lyon.
E a
Montmartre mi sono ricordata dei miei
viaggi in camper nel sud della Francia: in alcune cittadine avevo incontrato vetrine come questa, deliziose per gli occhi e per lo stomaco.
Avrei altre foto per riportare in vità la felicità che nasce nella Ville Lumiere, ma ci saranno altri post per farlo.
La bellezza di ieri, oggi è stata offuscata dalla paura.
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